Platone 2


 LA CONOSCENZA COME REMINISCENZA

Ma l'uomo, come fa a pervenire alla conoscenza delle idee eterne e immutabili?

Platone riprende, tramite un mito nel Menone, la dottrina della reincarnazione delle anime (come nell'orfismo e con i pitagorici). Secondo il mito, prima che noi nascessimo la nostra anima, la psyché, principio spirituale che è racchiuso nel corpo e che costituisce l'essenza dell'essere umano, esisteva nel mondo ideale. Dove contemplava le idee e aveva piena conoscenza di tutto.

Poi, costretta a reincarnarsi nel corpo come stordita da questa violenza, è caduta nell'oblio, dimenticando quanto aveva appreso. All'anima è però possibile, se opportunamente guidata, ricordare e ritornare gradualmente allo stato di sapienza e intelligenza che possedeva quando risiedeva nel mondo ideale.

Quella che chiamiamo ''conoscenza'' non è altro che ''reminiscenza'' o ''anamnesi'' (anàmnsesis, ricordo) da parte dell'anima delle idee con cui era già stata in contatto. 

L'esperienza sensibile non porta a nulla di nuovo, è solo uno stimolo per far riaffiorare il ricordo di una conoscenza precedente; la vista di un bel volto può accendere nell'anima il ricordo dell'idea di Bellezza contemplata nell'iperuranio, di cui bellezza terrena è imitazione, e innesca il desiderio di ascendere a essa attraverso la conoscenza.

DUALISMO ONTOLOGICO E DUALISMO GNOSEOLOGICO

Platone trova un piano ontologico, piano dell'essere, e un piano gnoseologico, piano della conoscenza. Secondo lui, si trovano anche un dualismo ontologico, cioè due piani sul piano dell'essere, e un dualismo gnoseologico, ovvero due piani sul piano della conoscenza.

Trova una corrispodenza tra il dualismo gnoseologico e ontologico. 

     Dualismo ontologico

  • mondo delle idee, perfetto e immutabile

  • mondo delle cose, imperfetto e mutevole

     Dualismo gnoseologico

  • la scienza, perfetta e immutabile

  • l'opinione, imperfetta e mutevole

La corrispondenza consiste nel rispecchiamento tra mondo delle idee-la scienza e nel rispecchiamento mondo delle cose-opinioni ( o ignoranza)

Sui piani dell'essere e del conoscere vengono aggiunti piano per piano, formando una tripartizione, ignoranza - nulla (non esiste). Platone afferma:

''ciò che assolutamente è, è assolutamente conoscibile; ciò che in nessun modo è, in nessun modo è conoscibile''


I GRADI DEL CONOSCERE

Nella Repubblica troviamo un' ulteriore specificazione dei gradi della conoscenza. Viene paragonata la conoscenza a una linea spezzata in due segmenti (conoscenza sensibile e conoscenza razionale), i quali vengono divisi a loro volta in altri due segmenti (immaginazione e credenza da un lato, ragione scientifica e filosofica dall'altro)

Risultano così quattro gradi del sapere, cui corrispondono quattro gradi della realtà.


Come si può vedere dallo schema, la conoscenza sensibile rispecchia il mondo sensibile, mutevole e perituro, e comprende due livelli:

a. la congettura/immaginazione, che ha per oggetto le ombre e le immagini delle cose sensibili, ossia le supposizioni prive di fondamento reale;

b. la credenza (probabile), che ha come oggetto non più delle cose, ma le stesse cose sensibili e gli esseri viventi: è la percezione chiara e attendibile delle cose realmente esistenti e non meramente immaginate.

La conoscenza razionale (o scientifica) rispecchia invece il mondo immutabile e perfetto delle idee (l'iperuranio), e comprende anch'essa due livelli: 

a. la ragione scientifica o discorsiva, che ha come oggetto gli enti matematici come i numeri, le proporzioni e le figure;

b. l'intelligenza filosofica o noetica, che ha come oggetto idee immortali come quella del Bene, Bello, Uno, Vero ecc.. ossia le idee-valori.

La dialettica (dal greco dialectiké téchne), prende il nome dal dialogo che si svolgeva tra i vari protagonisti della ricerca filosofica, è considerata da Platone la ''regina della scienza''' e la ''tecnica propria della filosofia". Essa ha il compito di ricostruire la trama delle possibili connessioni tra le idee; essa permette, cioè, di comprendere e contemplare l'articolazione del mondo ideale. Inoltre, è la scienza degli uomini liberi, di chi ha solo obiettivo la conoscenza, quindi si identifica con la filosofia stessa.  

La dialettica consente di differenziare delle idee tra loro e coglierne le possibili relazioni.

NATURA DELL'ANIMA

L'anima, per Socrate, si identifica come vita interiore e la sua ''cura'' sta nella ricerca filosofica.. Per Platone, che appoggia le dottrine orfiche e pitagoriche e coniugando con il razionalismo socratico, l'anima è un vero e proprio principio spirituale, una sostanza semplice e incorporea, affine alle idee, quindi immortale, e bloccata in un corpo da cui deve progressivamente purificarsi attraverso la conoscenza.

L'immortalità dell'anima, viene discussa in Fredo e tratta vari argomenti.

  • la reminiscenza;

  • natura affine alle idee;

  • connessione strutturale all'idea della vita.

DESTINO ULTRATERRENO DELLE ANIME

Platone, racconta tramite un mito, nel Fedone, di come le anime facciano un viaggio nell'ade e di come questi viaggi cambino a seconda di anime ''buone'' o ''cattive''.

L'anima che si è macchiata di peccati, come omicidi o azioni malvagi finirà a errare sola, nell'incertezza finchè la legge della necessità prevederà, tutto ciò quando verrà portata nella prigione che le si addice, il tartaro. 

L'anima saggia e temperata, che ha vissuto nella purezza e nella misura, sarà accolta nel luogo che le si addice, ossia nella parte più alta del cielo, l'etere, la parte più bella e pura.

LA COMPLESSA STRUTTURA DELL'ANIMA

L'anima, da come abbiamo visto, ha una parte razionale, relativa al compito supremo della conoscenza. Platone ci afferma anche un'anima irascibile, in cui risiedono le virtù del coraggio e dell'eroismo, e un'anima concupiscibile, in cui risiedono gli istinti, ed è passionale e ribelle.

Nel Timeo, Platone assegna a queste tre parti hanno una loro collocazione:

  • ragione nel cervello

  • eroismo nel petto

  • concupiscenza nelle viscere

La parte concupiscibile, ha un gran bisogno di soddisfare desideri  e ricevere gratificazioni materiali e soltanto a fatica può essere riportata sotto il controllo della ragione.

La tripartizione dell'anima è un'allusione a tre tipi comportamenti umani; il saggio, il guerriero e gli uomini comuni e volgari.

L'uomo per poter trovare un giusto equilibrio, deve poter controllare e sottomettere tutto il peso delle passioni che sente. L'articolazione rappresenta il dramma umano e la sua fatica a conquistare il giusto equilibrio.

IL MITO DEL CARRO ALATO

Nel Fedro, ci viene trasmesso il mito del carro alato. 

In questo mito, auriga, ossia la ragione, aiutato dal cavallo buono (rappresentatore dell'anima irascibile e il coraggio), combattono per sottomettere il cavallo cattivo (rappresentatore di concupiscibile e la furia degli istinti carnali) e condurre in tal modo il carro (l'uomo) sulla retta via, cioè verso la metà soprasensibile dell'iperuranio.

Il mito è una perfetta metafora per spiegare la incessante lotta tra pulsioni e desideri contrapposti: desideri carnali, emozioni nobili, ragione. 

Nessuno è meno o più importante dell'altro, tutti tre sono essenziali per il giusto equilibrio dell'anima, Platone non nega la forza delle passioni, ma ritiene che sia compito della ragione ricondurre nella giusta direzioni

L'AMORE COME PONTE TRA IL MONDO SENSIBILE E MONDO INTELLIGIBILE

L'uomo, come abbiamo visto, è diviso in due metà, anima e corpo, mondo ideale e mondo sensibile. C'è un distacco tra queste realtà, che rende impossibile la conciliazione tra esse e che rende l'uomo infelice. Platone cerca il modo di trovare soluzione al conflitto e permettere l'unità dei due mondi. Viene trattato il tema dell'amore.

L'amore nel Fedro è presentata come la forza che permette all'anima di elevarsi dall'esperienza sensibile alla Bellezza ideale ed eterna.

I protagonisti di Fedro sono Socrate e Fedro, un giovane amante dell'arte e desideroso di filosofia. Fedro si ispira a Lisia, grande oratore del tempo che però non ha gli strumenti per trattare il tema ed è mancante di quei contenuti che solo la ricerca filosofica può dare. Socrate propone di trattare il tema dell'amore in modo approfondito.

L'ITINERARIO DELL'ANIMA SOSPINTA DALL'AMORE

Socrate definisce l'amore una pazzia. La pazzia è la novità, non è sempre male. C'è, una forma di pazzia che possiamo definire ''divina'', come Socrate stesso afferma, l'amore ci fa perdere la testa, perché proviene da una divinità ed è fonte di bene per gli essere umani.

L'amore per la bellezza, è una dolcissima pazzia divina, perché permette all'anima dell'innamorato di percorrere le tappe che porteranno a riconquistare il mondo intelligibile.

Platone ci dice che il primo organo coinvolto è l'occhio, che tramite la vista colpisce l'anima e le accende di desiderio in quanto ravviva il ricordo della Bellezza ideale che, essa, prima di incarnarsi, ha contemplato nell'iperuranio. Ci vengono detti precisamente anche le sensazioni fisiche che l'amore ha su di noi: quando l'uomo vede un bel corpo o un volto dalle fattezze "divine", dapprima sente un brivido, poi, guardandolo, lo venera al pari di un dio e arriverebbe ad offrirgli sacrifici come a un'immagine sacra. Per l'anima, è come se germogliasse l'idea di Bellezza che aveva perso precipitando sulla terra. All'anima viene un prurito, il prurito dell'amore, che fa smaniare giorno e notte, senza posa, facendola correre là dove pensa di poter trovare la bellezza. L'anima vorrebbe solo trovarsi là dove si trova la sua "divinità", dimenticando tutto il resto.

Sembra però che Eros sia insoddisfatto per natura e desideroso di nuove più ardite conquiste - ciò spinge l'anima umana ad andare oltre il mondo sensibile e fisico, dirigendosi verso quello soprasensibile dove potrà fare esperienza nel  "grande mare" della Bellezza ideale e assoluta, fonte e modello di quella terrena.

L'amore è, dunque, una forza mediatrice tra i due mondi, capace di unirli , una forza che eleva l'anima donandole le ali, attraverso i vari gradi della bellezza, alla Bellezza in sé. 

L'ideale kalòs kai agathòs, ovvere l'idea che il bello coincide con il bene, assume all'amore una profonda connotazione morale, rappresentando la via privilegiata verso la saggezza.

LA DESCRIZIONE DELLA NATURA DI EROS NEL SIMPOSIO

Nei dialoghi del Simposio, ambientato nella casa di Agatone, si parla di Eros, della sua origine e della sua natura, dei suoi vantaggi e svantaggi. Tutti i partecipanti devono fare una lode e fare un discorso su Eros. Uno di loro, Aristofane, dice che l'uomo non capisce la sua vera importanza, questo perché altrimenti sarebbero innalzati monumenti, farebbero riti e sacrifici in suo nome. Ci viene raccontato il mito dell'androgino, che spiegherebbe la originale natura dell'uomo, ovvero la ricerca della nostra parte mancante e il radicato desiderio di ricomporre la nostra unità originaria perduta

Socrate, l'ultimo a parlare, parla di come amare significhi desiderare ciò di cui si sente la mancanza; nel caso di Eros, di cose belle e buone. Per rafforzare questa idea, viene introdotta Diotima, una sapiente sacerdotessa che spiegò la natura di Eros allo stesso Socrate. Eros non è né un dio né un mortale, ma un demone, ossia un intermedio tra il divino e il mortale. Figlio del dio Poro (che simboleggia le risorse, l'accorgimento e l'espediente) e di Penia (la povertà, la mancanza), ha una duplice natura e anche contraddittoria: in quanto figlio di quest'ultima è sempre povero, ed è tutt'altro che bello e delicato come ritengono i più, bensì squallido, scalzo e senza casa; in quanto figlio di Poro è però coraggioso, audace e risoluto, "insidiatore dei belli e dei nobili'', appassionato di saggezza. Eros è dunque filo-sofo, amante della sapienza, avendo una natura intermedia tra la ricchezza e la povertà, tra la sapienza e l'ignoranza, tra gli dei e gli uomini, intraprendente e sempre pronto ad aumentare la sua esperienza. Eros, a causa della sua natura è la personificazione della filosofia. 

L'amore è apertura di un'anima all'altra, intreccio inestricabile di aspetti sentimentali e conoscitivi allo stesso tempo. Dunque, l'amore funge anche da ''ponte'' tra il sensibile e l'intelligibile, una forza che permette di trascendere la condizione umana ed esprime nostalgia e tensione verso l'assoluto. 

Esistono quattro virtù fondamentali, che bisogna seguire e mettere in atto se si vuole trovare il proprio equilibrio (come il carro che deve poter governare il cavallo buono e il cavallo cattivo), ed esse sono:

  • la saggezza

  • la forza d'animo/coraggio

  • la temperanza

  • la giustizia

La saggezza è la virtù propria della parte razionale dell'anima e grazie ad essa è possibile ragionare e dominare la vita istintuale; il coraggio è proprio la parte irascibile e rappresenta la capacità di lottare per far trionfare ciò che si ritiene giusto; la temperanza è la capacità di contenere e moderare i piaceri e i desideri sottomettendo l'anima concupiscibile a quella razionale; la virtù più importante è comunque la giustizia, che nell'individuo si realizza quando ogni parte dell'anima svolge solo e unicamente la propria funzione, garantendo l'armonia del tutto.

L'ideale di virtù, quindi, è la realizzazione dell'equilibrio tra le componenti dell'anima individuale, le quali svolgono le proprie funzioni sotto la guida della ragione, che segue il modello del Bene. Per questo, l'obiettivo primario dell'uomo deve essere la conoscenza: essa consente di accedere alla contemplazioni di idee superiori e, quindi, di imitare la perfezione nella propria condotta di vita.

Nella visione platonica, essenzialmente, il corpo ha una posizione subordinata; essenzialmente è la propria anima, l'anima è incarcerata nel corpo. Al primo posto si trovano i valori della conoscenza e della virtù, considerando negativamente quelli vitali e materiali qualora non siano ricondotti alla superiore guida della razionalità. Il vero filosofo desidera la morte e la filosofia è la preparazione alla ''morte'': se infatti il corpo rappresenta un ostacolo per l'anima, e la morte è la liberazione dal corpo, essa risulta anche l'attuazione di quel percorso di elevazione intrapreso dal filosofo con la conoscenza.

FORME DI GOVERNO

Il modello di giustizia che presiede alla vita morale dell'individuo è lo stesso che regola la vita ordinata dello Stato, in quanto quest'ultimo non è altro che lo specchio dell'uomo e della sua anima. Nella prospettiva platonica non c'è scissione etica e politica, poiché non è possibile immaginare l'uomo come individuo slegato alla comunità di appartenenza.

 Per capire cosa sia la giustizia Platone propone un modello di Stato perfetto, utopico, che si propone come paradigma: la sua validità non è data dalla realizzabilità, ma, in quanto modello, può servire come punto di riferimento per i cittadini e i politici. Uno Stato ideale dev'essere strutturato in tre classi, e ogni classe deve uniformare il proprio comportamento a una specifica virtù:

la classe dei governanti: a cui viene affidato il comando della città, devono essere dotati della virtù della saggezza;
la classe dei guerrieri: a cui è demandata la difesa militare, devono avere la virtù del coraggio;
la classe dei lavoratori: a cui è affidato il compito di provvedere ai bisogni materiali, devono possedere la virtù della temperanza.

In questo quadro, la giustizia è la virtù di adempiere bene il proprio compito di cittadino.

Lo Stato che Platone delinea è un regime aristocratico, in cui il governo della città deve essere affidato a coloro che sono dotati per natura della capacità di guidare gli altri uomini, ovvero i filosofi, i quali conoscono il Bene e sanno distinguere il vero dal falso. Il suo modello aristocratico si fonda sul valore assoluto che nel sistema platonico vengono a rivestire la conoscenza e la dedizione al bene comune.

Gli altri governi esistenti sono da considerarsi forme distanti dal modello secondo una scala di valori che annovera quattro regimi politici: più si allontanano dal modello aristocratico, più sono corrotti. Essi sono:
  • timocrazia: il governo degli uomini che pongono al vertice della considerazione l'onore e non la sapienza;
  • l'oligarchia: il regime fondato sul censo, in cui solo chi è ricco ha potere e i poveri non hanno diritto ad accedere ai posti di comando, è profondamente precario;
  • democrazia: la grande massa dei poveri prevale sui ricchi e si impadronisce del potere. In questo Stato prevalgono l'individualismo, l'anarchia e la sfrenata libertà, l'anima dell'uomo democratico è volubile e priva di equilibrio;
  • tirannide: la forma più spregevole di governo, in quanto il tiranno, una volta preso il potere con forza, è costretto a liberarsi di ogni persona saggia per circondarsi di gente vile che lo assecondi e lusinghi. L'uomo tirannico viene descritto da Platone come colui che si abbandona alle passioni più disordinate e ai più orrendi misfatti; egli è disonesto, malvagio e schiavo delle passioni.
Il progetto educativo che Platone elabora per il filosofo mira alla ricerca della Verità e del Bene: l'uomo di Stato deve possedere la scienza vera, che si consegue attraverso la ricerca razionale. L'educazione elementare, che inizia a 7 anni, si fonda sulla ginnastica, sulla musica e sulla matematica, che dev'essere studiata da tutti. All'età di diciotto anni il giovane viene avviato al servizio militare e dopo due anni si accosta allo studio delle scienze. A trent'anni, dopo un'ulteriore selezione, i giovani migliori possono finalmente studiare la filosofia, e in particolare il metodo dialettico.

IL MITO DELLA CAVERNA


Nel VII libro della Repubblica viene esposto il celebre mito della caverna. Esso rappresenta una sorta di compendio del pensiero platonico in tutte le sue componenti fondamentali: da quella metafisica, a quella gnoseologica, a quella etico-politica.


Secondo questo mito ci sono i prigionieri, le persone, incatenati fin dalla nascita in una caverna e costretti a guardare la parete di fondo, volgendo le spalle all'entrata. Dietro di loro la caverna si apre verso la luce, con un fuoco che brucia ad una certa distanza. Tra il fuoco e i prigionieri c'è un muricciolo, sottile e basso. Dietro il muricciolo passano persone che portano figure di animali, statue e altri oggetti fabbricati in legno o in pietra, facendoli sporgere sopra il muretto. I prigionieri vedono solo le ombre proiettate sulla parete di fronte

Se uno di essi riuscisse a liberarsi dalle catene e fosse costretto ad alzarsi repentinamente, a voltarsi e a camminare volgendo gli occhi verso la luce, in un primo momento sarebbe ancora portato che siano le ombre la verità, e non gli oggetti che vede confusamente ora a causa dell'eccessivo chiarore della luce. Se fosse poi spinto al di fuori della caverna, sicuramente soffrirebbe per la luce abbagliante del sole e proverebbe un forte dolore agli occhi. L'unico rimedio è quello di adattarsi alla luce del sole.

Dopo le ombre, dovrebbe osservare le immagini delle cose riflesse nell'acqua e poi le cose stesse. Successivamente, quando i suoi occhi si fossero abituati meglio alla luce, potrebbe guardare la luce degli astri, la luna e il cielo di notte. Soltanto allora potrebbe provare a guardare il sole stesso. Questo percorso gli permette di riconoscere il sole come signore del mondo visibile e a causa di tutte quelle cose i suoi amici nella caverna non vedono che l'ombra, che considerano la verità.

Una volta adattato alla luce del sole avrebbe difficoltà ad orientarsi nel buio, presso gli amici incatenati, e preferirebbe qualunque altra cosa piuttosto che vivere quella miserabile vita. Se tornasse nella caverna i suoi occhi sarebbero come ciechi, tanto da non riuscire a scorgere neppure le ombre di un tempo e da suscitare il disprezzo degli altri, che lo accuserebbero di esser tornato con gli occhi ''guasti'' e riderebbero di lui. 

Nonostante tutto, il senso del dovere morale dell'ex prigioniero lo spinge a ridiscendere nella caverna per salvare i suoi compagni dall'ignoranza e farli partecipi della verità che ha potuto contemplare. Ma quando andrà da loro, dovrà subire solo  l'incomprensione di tutti i prigionieri.


Ma che significa tutto ciò?


Il mito è un allegoria della formazione del filosofo e del destino a lui riservato nella società corrotta. La caverna rappresenta il mondo sensibile dove gli uomini sono schiavi dell'ignoranza, che incatena alle immagini delle cose. Il prigioniero che si libera farà un difficile itinerario educativo-filosofico per poter scorgere la verità e combattere l'ignoranza. Il primo passo del filosofo è scorgere nel riflesso delle cose nell'acqua ( le sensazioni e le apparenze), poi passa a guardare gli astri e le stelle ( studio della matematica e delle proporzioni), arrivando alla fine a poter osservare il sole (alla conoscenza delle idee stesse, come l'idea del Bene, del Bello, il Giusto).

Il filosofo, ex prigioniero, si assume diritto-dovere di governare la città, prendendosi cura del bene comune. La causa per cui il filosofo deve fare tutto questo è rappresentato, oltre che dalla voce della coscienza, anche dall'esempio concreto di Socrate, il filosofo per eccellenza. che ha dato la vita per la virtù e l'adempimento coraggioso della propria missione. L'ordi nella città impone il dovere dell'impegno politico ai filosofi, unici tra gli uomini ad avere una visione unitaria e, per così dire, panoramica delle cose.

Se essi si diserentassero della polis, ritirandosi in una vita contemplativa, il governo viene lasciato a gente corrotta e stolta. Ogni governante deve impegnarsi a vantaggio dei propri cittadini. Abbiamo anche un'altro insegnamento: la filosofia, pur essendo spesso in dissonanza con l'opinione comune, non deve estraniarsi dalla vita politica e civile; essa ha il dovere di ''prendersi cura'' dell'uomo e di lottare per il trionfo della giustizia nelle società. anche a costo di essere fraintesa e derisa.


IL RUOLO MARGINALE DELL'ARTE DEL PERCORSO EDUCATIVO DEL FILOSOFO

Nel III libro della Repubblica, l'arte viene severamente giudicata; l'arte viene criticata all'interno del problema più generale della formazione dei giovani, i quali, devono sia ricevere un'adeguata educazione fisica, sia una validità formazione morale. Quindi, prima esercizi ginnici e la preparazione atletica e poi una formazione alla cultura, di cui è parte quella che parte da quella che in greco si definiva Musiké, cioè l'insieme delle arti che si consideravano ''protette'' dalle Muse. Dunque, Platone reputa necessaria l'educazione a queste arti nel curricolo formativo del giovane; la poesia e l'epica in particolare, anche per lui, come per tutti i Greci, possono affinare lo spirito e stimolare all'amore per le virtù eroiche e per i valori della propria città.

Ma, generalmente, ha un giudizio negativo sull'arte: essa esercita il suo fascino sulla parte irrazionale, incanta l'animo, lo confonde, lo esalta, lo attrae, ma proprio per questo grande potere che le compete può essere fonte di male ed errore. Egli è convinto, che le arti tendono a lusingare con immagine frivole e false le coscienze dei giovani, le quali sono soggiogate dagli esempi proposti, spesso smodati e passionali, e incitate a comportamenti immorali. Considera perfino l'illustre Omero come creatore di fantasmi, un illusionista della parola, colui che ha rappresentato le passioni più sfrenate, dipingendo anche gli dei in modo irriverente; ha attribuito a loro i peggiori vizi umani, come l'odio, l'inganno e l'infedeltà.

Per tale motivo, i giovani, leggendo qualcosa delle sue opere, potrebbero trarre incitamento a perseguire l'ingiustizia invece di orientarsi al bene e alla virtù.

L'ARTE COME IMITAZIONE DI IMITAZIONE

In accordo con la tradizione greca, anche Platone parte dall'assunto fondamentale che l'arte sia imitazione o mimesi. Ma l'artista chi imita? Non la verità assoluta e perfetta, quale si trova nel mondo ideale, bensì la realtà sensibile, che è a sua volta immagine del modello ideale; il cielo dipinto, è la riproduzione dell'albero reale, che è copia illanguidita dell'idea di Cielo esistente nell'iperuranio. Quindi, invece di spingere l'uomo verso le idee, lo allontana e lo trattiene nella dimensione sensibile e in particolare dell'immaginazione, la facoltà che occupa la più passa scala della gerarchia della conoscenza.


L'ARTE COME DIVINA PAZZIA


L'arte ha duplice funzione diseducativa:

  • propone modelli non eticamente positivi;

  • allontana dalla verità, che risiede nel mondo ideale.

Esiste un'ulteriore motivo che fa guardare le arti sospettosamente da Platone; nel mondo greco arcaico era diffusa l'idea che il poeta fosse ispirato dagli dei nella composizione dei propri canti. Tale ispirazione equivaleva a una sorta di pazzia divina, che invadendo e conquistando l'anima dell'artista, vi infonde uno stato di enthousiasmos o furore divino, inn grado di confondere e offuscare la ragione al pari dell'ubriachezza o del delirio d'amore.


Nello Ione Platone afferma che i poeti sono ispirati e posseduti dal dio nella composizione dei loro poemi e li paragona alle baccanti, seguaci del dio Bacco che eseguivano rituali,  con sfrenati balli e canti e all'ebbrezza scatenata dal vino, raggiungendo uno stato di estasi.

I poeti sono mediatori tra gli dei e gli uomini, visto che sono invasati di questo furore divino. Platone parla della funzione "ermeneutica" (dal verbo greco hermeneuein, intraprendere) dei poeti, nel senso che hanno il compito di manifestare agli uomini il pensiero divino facendone interpreti.


Il poeta, incatenato in questo stato di sacro ''entusiasmo'', non riesce ad utilizzare la ragione nelle sue attività, ed è quindi lontano dalla condizione del filosofo, caratterizzato dal predominio delle facoltà logiche e riflessive. Questo ''furore divino'' non si sofferma solo al poeta, ma arriva anche al pubblico. Quest'ultimo viene travolto dalla valanga di emozioni suscitate dall'ascolto, l'ultimo anello di una catena, soggetto al potere irrazionale e alla suggestione fascinatrice della poesia.


LA SUPREMAZIA DELLA RAGIONE


Ricapitolando, l'arte viene pesantemente accusata perché:

  1. è diseducativa perché propone modelli di comportamenti immorali, immagini frivole e ingannatrici;

  2. l'arte allontana dal vero perchè è ''imitazione di imitazione'', trattiene l'uomo al più basso livello di conoscenza, l'immaginazione, dunque porta l'uomo nell'errore;

  3. l'arte è frutta della divina ispirazione, che avvince l'anima dell'artista e attenua la sua capacità di giudizio: sia il fruitore che l'autore dell'opera sono dominati dall'irrazionalità e soggiogati dalle passioni e dalle emozioni.

Viene messa sempre in rilievo la supremazia della ragione rispetto a qualunque forma d'arte.

La condanna dell'arte è talmente radicata in Platone che lo porta a distruggere le sue poesie giovanili. Pur trovandosi a giudicare poeti come Omero e Sofocle, Platone, nei suoi giudizi, si colloca dal punto di vista dell'educatore e del legislatore, che deve costruire un curricolo scolastico e si preoccupa del potere destabilizzante della dimensione artistica: egli giudica negativamente l'arte in nome dei valori della ragione filosofica, ed è per questo che non ne contempla l'inserimento nel curricolo formativo dei giovani.



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